Palazzo arcivescovile

29/05/2019

Quale ruolo per le donne nella chiesa di Palermo? Lo stato delle cose tra memoria e profezia

La profezia

Quando mi è stato chiesto di affrontare il tema del ruolo della donna nella Chiesa di Palermo secondo la prospettiva della profezia, in un primo momento ho avuto qualche perplessità.

Mi è apparso tema difficile, audace, esposto al rischio di ingenerare polemiche sterili da un canto o di parlare di prospettive utopiche da un altro.

Nel passaggio dalla memoria alla profezia tuttavia, non si può omettere il presente e cioè il vissuto odierno della chiesa palermitana.

È da quello che dunque partirò, evidenziando luci ed ombre e provando successivamente ad aprire delle piste, presentare suggestioni ed auspici, per una profezia capace di parlare al cuore di tutti, uomini e donne della Chiesa palermitana.

Il presente tra luci ed ombre

È indubbio che la nostra diocesi abbia costituito un avamposto per l’applicazione delle disposizioni conciliari, come ci ha mostrato Cettina Militello nella relazione che mi ha preceduta, che spingevano verso una sempre crescente promozione del laicato e quindi anche della donna, che del laicato è parte integrante.

Partire dal presente significa pertanto prendere atto dei risultati prodotti da quel passato che chi mi ha preceduto ha illustrato con dovizia di particolari.

Di questo presente faccio parte in prima persona, perciò è dalla mia storia che voglio partire, al riparo da protagonismi, ma per portarla ad emblema di quel percorso che ha un po’ l’andamento di una parabola, già descritto dalla prof.ssa Militello. Sarà interessante valutare al termine, se trattasi di parabola ascendente o discendente!

Ho iniziato i miei studi presso la Facoltà Teologica agli inizi degli anni ’90, immediatamente dopo il diploma al liceo classico, negli anni in cui la prof.ssa Militello si era da poco trasferita a Roma.

In quegli anni in Facoltà si respirava ancora vivo lo Spirito del Concilio, l’idea di una Chiesa tutta ministeriale, in cui il rapporto tra carisma e ministero appariva ben definito e l’ecclesiologia di comunione veniva insegnata e respirata a pieni polmoni un po’ in tutti gli ambiti della vita accademica.

Erano anni in cui la Facoltà Teologica poteva già vantare, a dispetto di altre chiese locali, la presenza di diverse donne all’insegnamento della Teologia (non posso non ritornare al ricordo della cara docente e poi amica biblista, Silvana Manfredi, ma anche della già citata Sr Maria Teresa Falzone, della prof.ssa Ina Siviglia, modello a mio avviso di una laicità ecclesiale nuova in quel contesto, perché moglie e madre ed anche questo costituiva il superamento di un pregiudizio al quale, come dirò successivamente, forse stiamo tornando).

Numerosi erano i laici che come me studiavano la teologia, a cui si guardava con favore, con rispetto, da parte di docenti e colleghi candidati agli ordini, in uno spirito di assoluta integrazione e comunione ecclesiale all’interno di una facoltà, che a me, giovane studentessa, appariva come piccola chiesa domestica, forse anche a motivo delle ripetute ed informali visite che il gran cancelliere, nonché promotore della fondazione della Facoltà, il card. Salvatore Pappalardo, riservava a noi studenti e ai docenti, durante le lezioni (indimenticabile la sua presenza al corso di antropologia teologica in giacca da camera e pantofole!).

In un siffatto clima non fu dunque per me motivo di stupore che al termine del mio baccellierato in teologia, nel 1997, l’allora preside Mons. Cataldo Naro suggerisse al cardinale Salvatore De Giorgi, gran cancelliere della Facoltà e mio vescovo, di mandarmi a proseguire gli studi a Roma, formalmente inviata dalla diocesi di Palermo, per studiare Liturgia per specializzarmi in quella disciplina e, una volta finiti gli studi, tornare a Palermo per insegnare liturgia nella stessa Facoltà.

Medesima felice sorte per altro era stata destinata pochissimi anni prima ad Annapia Viola, della diocesi di Trapani, adesso docente stabile di filosofia, e appena un paio di anni prima di me a Marida Nicolaci, della diocesi di Palermo, oggi docente stabile di Sacra Scrittura.

Ciò che accomunava la nostra esperienza, che aimè rimase un apax nella storia della Chiesa di Palermo e della stessa Facoltà Teologica, era il senso di responsabilità scaturito dall’essere state inviate, dalle nostre chiese locali a studiare per meglio qualificarci e poter svolgere un ministero, quale quello della docenza della teologia, nella nostra condizione specifica di donne e di laiche.

Veniva così per noi seguito un iter che solitamente era riservato a studenti candidati agli ordini, e questo era chiaro segno di una visione di Chiesa in cui al laicato venivano riconosciute attitudini, competenze e carismi da poter mettere al servizio della chiesa locale attraverso ruoli istituzionali.

Tutte e tre, in sequenza temporali che si sono succedute, abbiamo preso alloggio presso la Comunità Santa Cecilia, una sorta di collegio per donne provenienti da tutto il mondo cattolico, solo in pochi casi però inviate dai propri vescovi a Roma per frequentare i cicli di licenza e dottorato. Ed anche in questo noi provenienti da Palermo eravamo considerate delle privilegiate, e tutte guardavano a noi con ammirazione per la capacità che le nostre diocesi avevano di osare applicare tanto audacemente il concilio.

La Comunità Santa Cecilia oltretutto era una realtà voluta e fondata dal compianto mons. Gualdrini che con il sostegno economico dell’almo collegio Capranica ed in piccola parte della CEI, su richiesta dei rispettivi vescovi, attribuiva alle studentesse delle borse di studio per la permanenza nel collegio e il mantenimento agli studi. Anche questo non è un particolare trascurabile, perché che la CEI si facesse e si faccia ancora oggi carico di sostenere agli studi teologici delle donne, costituiva e costituisce il termometro di una sensibilità ecclesiale che non si respira con facilità nelle nostre diocesi italiane. (ndr. Il sostegno della CEI non è venuto meno, anzi l’attuale direttrice mi dice essere più consistente del passato).

A seguito di questa formazione specifica, ho trovato così collocazione, una volta tornata a Palermo, come docente invitato presso la Facoltà Teologica e come docente incaricato all’Istituto Superiore di Scienze Religiose, realtà quest’ultima molto caratterizzata in prospettiva laicale, perché interamente frequentata da laici che si preparano per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole oltre che a svolgere diversi ministeri ecclesiali. Questo costituiva e costituisce una grande ricchezza per le chiese di Sicilia.

La nostra diocesi inoltre al mio rientro era, e lo è ancora oggi, caratterizzata da diversi organismi ecclesiali, già citati dalla prof.ssa Militello, tra cui la commissione liturgica diocesana, nella quale sono stata immediatamente inserita come direttore della Sezione di Musica per la liturgia, a motivo dei miei pregressi studi di musica e l’esperienza di direzione corale.

A questo incarico se ne sono aggiunti parecchi altri, al di fuori della nostra diocesi ed a servizio della chiesa italiana (si veda la collaborazione con l’Ufficio Liturgico Nazionale per le attività di formazione, per la correzione bozze del Nuovo Messale etc..) nonché universale, con la nomina a Consultore della Congregazione del Culto Divino e della disciplina dei Sacramenti, primo caso nella storia fortemente voluto da Papa Francesco.

Numerose sono poi le attività legate a convegnistica e pubblicazioni, nonché il servizio alla chiesa di Palermo per attività formative a tutti i livelli (non ultime quelle parrocchiali che ritengo vivaio da non trascurare!).

Dalla descrizione della mia personale esperienza la Chiesa palermitana appare dunque una realtà positiva in linea con le disposizioni conciliari e con lo spirito di una rinnovata ecclesiologia che vuole il laicato protagonista attivo della vita della chiesa.

Quello che vi ho descritto fino ad ora tuttavia è stato il bicchiere mezzo pieno, al quale, per dovere di cronaca, è corretto affiancare il bicchiere mezzo vuoto.

Alcuni nodi da sciogliere

A fronte di una situazione personale che sembra l’idealità di quanto prescritto nelle disposizioni conciliari sul ruolo del laicato, non posso non sottolineare anche i limiti legati al mio personale vissuto, di donna ecclesialmente impegnata, all’interno della nostra chiesa locale ed il clima che respiro nei confronti delle donne in generale oggi.

Non abbiamo il tempo in questa sede per entrare nei dettagli, ma provando a dare uno sguardo a volo di uccello alle altre e numerose donne ecclesialmente qualificate della nostra diocesi, non è difficile osservare che, a fronte di una percentuale elevatissima di presenze femminili (rispetto a quelle maschili) nella vita delle parrocchie, associazioni laicali, movimenti ecclesiali, organismi diocesani e di curia, tuttavia i ruoli istituzionali, di leadership, di coordinamento, di responsabilità, di ufficiale riconoscimento di carismi e di attribuzione di ministeri, rimane numericamente ridotto per le donne e riservato in modo quasi esclusivo e pregiudiziale agli uomini.

Rimangono infatti alcuni nodi da sciogliere, o meglio da Risciogliere, in quanto certe questioni ed atteggiamenti erano in parte già state superate in passato grazie ad una sana applicazione del concilio, e diventano invece nodi serrati nel presente, al punto da domandarmi se la Chiesa di Palermo non abbia semplicemente subito una battuta d’arresto negli ultimi anni, o forse addirittura una retrocessione di pensiero.

Viene cioè da domandarsi dove sia finito quel sano spirito del concilio che aveva portato la chiesa palermitana fino a pochi anni fa a guardare al laicato in generale come risorsa viva della comunità ecclesiale.

Ad oggi invece non possiamo tacere l’esistenza di alcune criticità, indice di una visione nostalgica di chiesa gerarchizzata, che colloca i laici alla base di una piramide ormai antistorica oltre che antievangelica.

È infatti ancora un grande tabù nel sentire della Chiesa di Palermo quello di incaricare una donna della formazione e aggiornamento dei ministri ordinati (in qualche caso si mostrano malcelate resistenze anche rispetto alla formazione dei candidati agli ordini); della guida di organismi diocesani quali possono essere la Caritas diocesana o gli uffici liturgici o catechistici o altre associazioni laicali.

Il mio ritorno in diocesi, al termine degli studi, è stato inoltre caratterizzato dalla difficoltà del mantenimento economico, perché a fronte della grande apertura che la nostra Chiesa diocesana aveva avuto nei confronti della presenza delle donne teologhe all’interno della facoltà teologica come di altre istituzioni diocesane, non si era contestualmente creata (sia nella nostra facoltà come in tutte in italia) la mentalità pratica, gestionale ed organizzativa correlata a queste nuove figure lavorative! (noi donne non godiamo del sostentamento clero quindi abbiamo bisogno di cercare al di fuori una fonte di sostentamento economico, ed i contratti che stipuliamo con le facoltà teologiche non prevedono forme di tutela ordinariamente previste nel mondo laico quali ad esempio l’assenza retribuita dal lavoro per maternità o la riduzione oraria per l’allattamento dei figli!)

Permangono inoltre restrizioni mentali legate a misoginia latente e clericalismo occulto che portano non di rado i ministri ordinati a guardare con sospetto alle donne, soprattutto quando queste ultime mostrano di avere competenze teologiche superiori alle proprie.

Il fatto di essere mogli e madre inoltre, rappresenta già nel mondo del lavoro in generale una difficoltà in più nel coordinamento di questi personali ruoli con quelli lavorativi, ed in ambito ecclesiale questa condizione può subire aggravanti notevoli quando i ritmi lavorativi sono tagliati su misura dei ministri ordinati, le cui esigenze personali sono ben diverse e svincolate da quelle di chi ha famiglia.

Il fatto poi di vivere la propria condizione laicale in tutta la sua pienezza, senza assumere stili di vita similclericali o assimilabili a quelli della vita consacrata, non di rado stimola forme di misoginia che mortificano i soggetti stessi che se ne fanno promotori quanto le donne che la subiscono.

Quanto alla condizione delle religiose non aggiungo altro se non il riferimento al discorso che Papa Francesco ha rivolto loro nella cattedrale di Palermo il 15 settembre 2018, invitandole a non dimenticare il loro carisma![1]

In ultimo, ma non perché ritengo sia l’ultimo dei nodi da sciogliere, permane un certo sospetto rispetto alla produzione teologica delle donne. Personalmente non sono un araldo della teologia di genere, ma ritengo che se la riflessione teologica è la risposta ad una domanda della Chiesa, allora in essa ciascuno porta il proprio vissuto ecclesiale secondo la propria condizione specifica, e non comprendo perché si possa considerare diverse in qualità e dignità le diverse elaborazioni teologiche.

Mi è invece accaduto, qualche volta, di percepire la mia partecipazione ad eventi di natura ecclesiale non in virtù di mie esplicite qualità, ma perché dettata da un fare politically correct che prevedeva l’inserimento di quote rosa….!

Queste sono solo suggestioni naturalmente, che voglio lanciare all’uditorio non tanto per denunciare, quanto piuttosto al positivo per invitare ad una riflessione propositiva sul ruolo della donna nella vita della Chiesa, e perché, evidenziati i nodi problematici, possa risultare più chiaro, conoscendoli, quale possa essere il modo di scioglierli.

Le prospettive

Quale l’atteggiamento da sposare per una pastorale ecclesiale in cui la donna veda riconosciuta la propria dignità, i propri carismi e venga insignita di tutti i ruoli che nel laicato vengono già ordinariamente destinati senza alcun pregiudizio agli uomini?

Vorrei adoperare il paradigma della liturgia.

Prendiamo esempio dalla dinamica che si verifica all’interno della celebrazione liturgica. Noi celebriamo un memoriale: ovvero rendiamo presente nell’oggi celebrativo un fatto del passato storicamente conclusosi (la Pasqua di Cristo), perché gli effetti salvifici giungano a noi nel presente e ci proiettino verso il futuro della visione piena di Dio che avremo nella Gerusalemme celeste.

La liturgia diventa così l’emblema della possibilità di far sintesi di passato presente e futuro in modo proficuo ed efficace, ovvero perché la ricchezza del passato nutra ed alimenti il presente orientando positivamente il futuro.

Allo stesso modo, il mio suggerimento alla nostra chiesa palermitana è quello di raccogliere il passato della nostra diocesi (tanto ricco di acquisizioni avanguardistiche rispetto al ruolo della donna), di riversarlo in questo presente, perché sulle orme di chi ci ha preceduti possiamo essere traghettati verso il futuro di questa nostra amata chiesa.

La scelta di questo paradigma significa allora nel concreto lasciare che le donne abbiano spazi di responsabilità diversificati all’interno della nostra diocesi: dai ministeri di fatto, al munus della docenza, all’amministrazione di organismi ecclesiali. Nello specifico, in questa sede mi sento di sollecitare la creazione di una consulta femminile all’interno della nostra diocesi, così come già richiesto dall’associazione delle Rose Bianche al nostro arcivescovo, che sta guardando con favore all’iniziativa odierna patrocinandola, perchè per le donne sia luogo di presenza, spazio istituzionale ed apra al riconoscimento di ruoli.

Infine, se il paradigma della liturgia verrà correttamente applicato e positivamente recepito, sarà naturale che si apriranno nuovi spazi per il genio femminile all’interno della nostra chiesa. Questi non saranno frutto di rivendicazione, ma si configureranno come naturale risposta ad una domanda.

Sarà riconoscimento di carismi, ma soprattutto consapevolezza della necessità di ministeri che possono indifferentemente essere esercitati tanto dagli uomini che dalle donne, in un clima di reciprocità, di collaborazione, di sano spirito ecclesiale, per un cammino sinodale e non orientato dal principio della gerarchia.

Valeria Trapani

  1. “ Voi religiose, pensate che siete icona della Chiesa, perché la Chiesa è donna, sposa di Cristo, voi siete icona della Chiesa. Pensate che voi siete icona della Madonna, che è madre della Chiesa…..Per favore, non svalutate il vostro carisma di donne e il carisma di consacrate.”

Di Valeria Trapani*

 

* Docente di Liturgia presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia ; Membro Ordinario presso la Pontificia Accademia di Teologia