LA MEMORIA

Di Cettina Militello

Saluto i/le presenti, rammaricandomi per il fatto di non esserci. Ho accettato volentieri l’invito a prendere la parola perché, almeno per i primi quarant’anni, la mia storia si è strettamente intrecciata a quella della Chiesa di Palermo. Benché non ci sia stata battezzata, in essa ho ricevuto la prima eucaristia e la confermazione, purtroppo in quest’ordine. In essa, nella parrocchia di S. Teresa del B.G e poi a livello diocesano in AC sono stata educata e avviata a quella maturità di fede, sfida mai compiuta del cristiano. Soprattutto il decennio 75-85 del secolo passato è quello che mi ha vista più coinvolta e considero quegli anni di sperimentazione ed entusiastica adesione al Vaticano II un grandissimo e specialissimo dono.

Intervengo nell’economia di questo pomeriggio sul tema della memoria. Mi da voce Mariuccia Lo Presti, già mia allieva, che  ringrazio. Il mio rammarico è d’avere raccolto i materiali da lontano e non con la puntualità critica che avrei voluto.

La storia delle donne ha un suo statuto bene esplorato negli anni 80 e messo a punto in Italia più di un decennio dopo da Gabriella Zarri ne La memoria di Lei (Milano 1996). La stessa a inizio degli anni ’90 aveva espressamente avviato una riflessione su “Donne e Fede” nell’omonimo volume curato insieme a Lucetta Scaraffia (Bari 1994).  Negli stessi anni Adriana Valerio aveva cominciato a esplorare altrimenti il rapporto donna-fede privilegiando alcune figure particolarmente significative nella storia della Chiesa sotto il profilo del pensare e del vivere autorevolmente la fede. Né era stata la sola. In Europa, soprattutto, l’accesso delle donne alle facoltà di Teologia aveva comportato la riscoperta delle “madri”, magistralmente documentata da Kari Elisabeth Børresen. Su un crinale non tecnicamente storico, anch’io ne Il volto femminile della storia (Casale M. 1995) avevo provato a mostrare quanto e come fosse incisiva  la  presenza delle donne nella Chiesa, modulandone la rete  dei rapporti ad intra e ad extra dall’età patristica all’età contemporanea. Altre ancora – cito, oltre a Børresen, Elisabeth Gössman di recente scomparsa – ne avevano recuperato la soggettualità propriamente teologica. Quest’ultima aveva fatto emergere la cosiddetta “tradizione alternativa”, quella cioè che opponendosi alla misoginia culturale aveva piuttosto veicolato una diversa lettura del femminile.

Questo genere di studi ha riguardato anche la vita religiosa – si pensi a Sorelle in armi (Casale M. 2000), come pure alla faticosa riacquisizione di fondatori e fondatrici o della storia lontana o prossima di ordini e congregazioni, oggetto di tante tesi dottorali. Ricordo al riguardo l’appassionata fatica di sr. Teresa Falzone che ha insegnato alla Facoltà Teologica di Sicilia.

Che io sappia però, pur non essendo pochi i saggi relativi alla storia delle Chiese, non c’è stata un’attenzione esplicita alla presenza delle donne. Al di là di letture parcellizzate, necessitate, ad es., dalle procedure relative alle cause di canonizzazione, non mi risulta una storia delle donne relativa alle singole Chiese. Da qui la difficoltà, nel contesto di un convegno che mette a tema la donna nella Chiesa palermitana, di avvalermi di studi già elaborati, di notizie certe.

D’altra parte, l’attenzione generale alle donne, anche nella prospettiva locale – penso a Siciliane. Dizionario biografico (Siracusa 2006)– lascia poco spazio al protagonismo ecclesiale, prestando più attenzione alla loro negletta soggettualità nel campo variegato delle arti (poesia, letteratura, pittura, musica…), del sociale e della politica.

A titolo d’esempio, il dizionario in questione parte dalle sante patrone. E, nelle diverse epoche presta attenzione a figure singolari di sante e beate. Ma, per quanto le si radichi nel territorio e nella cultura che gli è propria, è davvero impossibile trarne indicatori e linee di sviluppo circa una visibilità e incisività delle donne nella storia delle singole comunità ecclesiali dell’Isola.

Operando una selezione, parziale e arbitraria, dovremmo partire dalle sante protettrici di Palermo: Cristina, Agata, Ninfa, Oliva, Rosalia. E, poi cercare, secolo dopo secolo, le donne protagoniste della vita ecclesiale. Impresa tutt’altro che semplice e, comunque, tutta da avviare.

Le sante protettrici, quelle le cui statue fanno bella mostra ai Quattro Canti, sono tutte siciliane, eccezion fatta per la martire Cristina nata a Bolsena. La troviamo indicata nel martirologio al 24 luglio. Non sono però riuscita a capire cosa l’abbia fatta patrona di Palermo. Quanto a Rosalia, Sara Cabibbo (Santa Rosalia tra terra e cielo, Palermo 2004) l’ha studiata come si conviene. Mentre le antiche patrone sono vergini e martiri, lei, che ha soppianto le altre, sarebbe una monaca eremita che ha chiuso i suoi giorni in una grotta sul Monte Pellegrino. La statua che lì la ritrae ha commosso tanti – cito per tutti Goethe.

Cristina, Agata, Ninfa, Oliva e la stessa Rosalia, per non parlare di Lucia e fuori dall’Isola di Agnese e d’altre ancora, hanno nomi con valenza liturgica o cristologica. Il che avallerebbe quella lettura simbolica che nella ipostatizzazione femminile dei misteri allude alla Chiesa. A riprova, ma è discorso altro, la presenza delle sante donne nei sottarchi di S. Maria dell’Ammiraglio e della Cappella Palatina. Piste tutte seducenti e poco esplorate.

In questa circostanza, mi limiterò a evocare alcune figure che si iscrivono nella storia a noi più prossima, quella del secolo XX. Senza tacere tuttavia di una palermitana che ha operato nella Chiesa della seconda metà dell’‘800. Parlo di Vincenzina Cusmano (1826-1894), prossima nelle scelte e nella spiritualità al fratello Giacomo. Il breve profilo di lei, tracciato da M.T. Falzone nel dizionario citato (pp. 523-525) – la stessa ne ha però redatta una pregevole biografia – sottolinea il suo lungo dibattersi tra una scelta radicalmente contemplativa  e il farsi serva dei poveri, riproponendo un afflato mai dismesso nella Chiesa d’ogni tempo – oggi di nuovo autorevolmente rimesso in circolo – quello di vedere nel povero presente Cristo stesso. Da qui l’esigenza di porsene a servizio. M. Teresa Falzone evoca il contesto ecclesiale e politico della Palermo post-unitaria. In essa, dismesse le pratiche caritative legate a figure e istituzioni tradizionali disattivate dall’amministrazione piemontese, più che mai la popolazione viveva in una condizione d’abbandono e di miseria. Da qui l’urgenza, anche sociale, del porsi a servizio dei poveri. M. Teresa Falzone evoca altresì i referenti formativi di Vincenzina Cusmano, figlia spirituale di quel Domenico Turano, docente universitario di Scrittura e di Teologia, che le fu accanto conducendola sulle strade di una fede a suo modo riflessa. Lo stesso curava spiritualmente quella cerchia di donne della media e alta borghesia raccolte nella Congregazione degli Angeli.

Al riguardo non sono riuscita a trovare indicazioni. Certo non si identifica con quella Chiesa segreta delle Dame, dedicata al parto della Vergine, sita in via Ponticelli,  e nata proprio per sovvenire le partorienti povere di cui faceva parte il fior fiore dell’aristocrazia palermitana sin dal secolo XVI.

Quanto al secolo XX ricordiamo come la diocesi sia stata guidata dagli arcivescovi (Celesia,) Lualdi, Lavitrano, Ruffini, Carpino, Pappalardo, De Giorgi, Romeo.

Sempre dal Dizionario biografico già citato, apprendiamo a margine del profilo di Teresa De Blasi Landolfi (?) (pp. 560-562) che alle sue benemerenze relative all’istituzione dell’unico Teatro stabile che abbia avuto la città di Palermo, va aggiunta la sua attività di apostolato e catechesi  in seno alla Associazione di cultura e preservazione della fede “Santa Caterina da Siena”. Già vice-presidente della Gioventù femminile di AC, fu incaricata nel 1928 dall’arcivescovo Lavitrano di fondare la sezione Signorine di AC. L’esperienza la indusse a riflettere sulla necessità di iniziative che toccassero anche le classi agiate. Si impegnò negli stessi anni a promuovere la San Vincenzo femminile e l’Opera salesiana. Sciolta la sezione Signorine, fondò con la benedizione dell’arcivescovo questo sodalizio laico il cui statuto venne approvato nel 1933. Salvatore Di Marco, che ne traccia il profilo, ricorda uno scritto della stessa  – Brevi  cenni storici – pubblicato nel 1954. Lamenta altresì che negli archivi della curia palermitana si sia perduto tutto quanto afferiva alle associazioni femminili di quegli anni. Il progetto, come si evince, puntava a impegnare le donne agiate in un’opera di sensibilizzazione e di testimonianza cristiana nella loro secolare normalità di vita.

Tra le donne che hanno vissuto e operato a Palermo, contrassegnate da una istanza squisitamente religiosa il dizionario annovera Maria Pia Borgese (1878-1974) (441-443) e Angelina Damiani Lanza (1879-1936) (pp. 529-531). Un caso a se stante – per antonomasia è la grande convertita – è quello di Alessandra de Rudinì (1876-1931), prima amante di D’Annunzio, poi monaca carmelitana. In verità gran parte della sua vita si svolge fuori dalla città natia e mai si intreccia con quella della Chiesa palermitana. Quanto alle altre due, si tratta di donne dell’alta borghesia. Il Magnificat  di Maria Pia Borgese è stato di recente ristampato a cura di Clara Aiosa.  La vicenda della sorella del più noto Giuseppe Antonio ci attesta la fatica delle donne, anche agiate, di prendere in mano la propria vita e partecipare alla pari alla fatica del vivere e del pensare la fede. Non mi riesce di misurarne l’impatto ecclesiale né la consapevolezza. Ma di certo, come prova la sua tesi di laurea su Il problema del male in S. Agostino, o lo stesso commento al Magnificat, dobbiamo registrare in Maria Pia Borgese una caparbia rivendicazione del diritto-dovere d’esercitare il sensus fidei. Di sicuro lei come Angelina Lanza appartengono a cenacoli religioso-intellettuali elitari. Maria Pia Borgese fa parte del gruppo che si raccoglie attorno a Pietro Mignosi  e che da vita alla rivista “La Tradizione”. Quanto ad Angelina Lanza, si pensi, ad es. all’attenzione di quest’ultima al pensiero di Rosmini alla cui lettura, come a quella di Agostino, viene indirizzata da uomini di Chiesa colti e vivaci. Il suo libro più noto è per La casa sulla Montagna nella quale descrive la vita che si svolge attorno alla sua residenza estiva di Gibilmanna. Importanti sono anche i suoi Diari. Noto di passaggio che in qualche modo, vivendo a cavallo tra due secoli, partecipa a quell’attenzione alla donna che è propria del primo femminismo.  Lo prova la collaborazione con le riviste dirette da Sofia Bisi Albini, d’area modernista, e la rubrica “Conversazioni al femminile” che tiene sul Corriere di Sicilia a partire dal 1912. La svolta filosofico-religiosa, dal 1914 in poi, la condurrà a un percorso interiore segnato da esperienze mistiche, non senza disattendere l’impegno parrocchiale dirigendo le donne di AC nella parrocchia palermitana di Santa Maria ausiliatrice negli anni ’30.

Troviamo infine alcune fondatrici “palermitane”: Carmela Prestigiacomo (1858-1948) (pp. 807-809), Carolina Santocanale (1852-1923)(844-845) e Maria Rosa Zangara (1844-1914) 8pp. 949-950), la cui vita si snoda tra la seconda metà del sec. XIX  e la prima metà del XX.

Ci è difficile ricostruire i passaggi soprattutto nella prima parte del secolo XX. Ricordiamo che il primo decennio del secolo è caratterizzato da una enorme vivacità intellettuale e da una grande attività intra ed extra ecclesiale delle donne. Siamo nelle decadi del primo femminismo il cui impegno sociale è anche  supportato da una scelta religiosa. La condanna del modernismo è altresì condanna del femminismo nel senso che le donne più attive vi vengono collegate – e in verità davvero erano legate a non pochi protagonisti della stagione modernista. Quanto di ciò sia riscontrabile in Sicilia, ci è difficile dire. Certamente durante il pontificato di Pio XI e, dunque, nel momento in cui nasce, la gioventù femminile di AC, stranamente, ha un grande successo ed è velocemente presente in tutte le diocesi e parrocchie dell’Isola. Essa diventa una fucina di crescita religiosa e sociale, molto più incisiva dello strumento sin lì più diffuso che era l’essere “Figlie di Maria”, epigono del frequentare, restandovi legate, quei collegi di religiose semi-claustrali presso le quali soprattutto s’apprendevano il catechismo, il lavoro domestico, l’arte del ricamo. Diverse socie della GF aderiscono all’Istituto secolare dell’“Opera della Regalità di Cristo”, voluto da Agostino Gemelli. Un anelito di secolarità, diverso dalle cosiddette monache di casa, si era avuto anche in Sicilia, con il ritorno della Compagnia di S. Angela Merici che, a inizio secolo, di nuovo aveva riproposto la originaria forma laicale. Né si erano avute le orsoline soltanto. A Palermo, ad es., operarono anche le Missionarie della Scuola. E, accanto a iniziative di squisito sapore intraecclesiale, non va dimenticato durante l’episcopato di Lavitrano quel clima e quell’impegno propriamente culturale dal quale non restarono escluse le donne.

L’ansia di protagonismo che vede le donne attive a servizio dei poveri o in attività sociali durante e poi dopo la grande guerra sta anche alla base di quelle fondazioni religiose di vita attiva che fioriscono nell’Isola e di cui sono espressione anche le tre fondatrici palermitane sopracitate. Carmela Prestigiacomo che fonderà le Suore del Verbo incarnato ha addirittura rapporti con Ernesto Bonaiuti della cui vicenda molto si duole; Carolina Santocanale, lasciato il Collegio di Maria, fonderà le Cappuccine della B.V. di Lourdes; Maria Rosa Zangara fonderà l’Istituto delle Figlie della Misericordia e della Croce.

Se questo è il quadro che conduce alla seconda guerra mondiale, il dopoguerra è segnato ulteriormente da istanze di attenzione al sociale. La città è semidistrutta. La povertà è dilagante.  In ciò è benemerita l’azione dell’arcivescovo Ruffini che da vita a un istituto secolare, quello delle Assistenti Sociali Missionarie. Ora, come già nella rete capillare dell’AC femminile, impegnatissima a supportare l’Italia uscita dal fascismo e impegnatissima sul fronte anticomunista, quasi si  individua una nuova ministerialità strettamente legata alla Chiesa locale e ai suoi bisogni.

Non è palermitana, ma accoglie l’invito di Ruffini di cooperarlo a Palermo Elena Coda (1910-1998). Lo aveva conosciuto a Roma quando era già impegnata da consacrata in attività sociali. Di fatto lo precede assieme a Maria Cristina Angelini. Cominciava appena a parlarsi di servizio sociale. Elena Coda lo avvertì come una opportunità qualificante. Nel 1949 conseguì il diploma di assistente sociale e incoraggiò altre giovani a fare altrettanto. Accanto a lei Maria Grazia Caprì, Maria Teresa Gaudesi, Lia Spinardi, Silvia De Silvia… Elena Coda fu la prima Direttrice generale della Comunità delle Assistenti Sociali Missionarie, eretta canonicamente nel 1954. Assecondò e, forse, ispirò un’opera capillare di promozione umana e di sostegno d’ogni tipo: quartieri popolari, cantieri navali, servizio agli anziani, asili infantili, mense popolari, corsi professionali… Per incrementare cristianamente le professionalità necessarie fondò la Scuola Universitaria di Servizio Sociale S. Silvia.

Dopo la morte di Ruffini diede vita alla Casa “Madonna dell’Accoglienza” per donne maltrattate o in difficoltà e per ragazze madri, in ciò accompagnata dall’arcivescovo Pappalardo e dall’assistente della casa, don Pino Puglisi. Il circolo delle sue frequentazioni ci restituisce altre donne attive in diocesi, quali Maria Pecoraro, Maria Nuara, Ina Soldato,  legate all’AC e al Centro Italiano Femminile (CIF), quest’ultimo sorto nell’immediato dopoguerra.

Della effervescenza al femminile della Chiesa palermitana è anche indice la nascita della “Crociata del vangelo”, poi “Presenza del Vangelo”, e la creazione di un altro istituto secolare, quello delle Missionarie del Vangelo. Di recente ho ricordato Lia Cerrito – si veda il saggio di Vittorio De Marco, Lia Cerrito. Missionaria del vangelo nella Chiesa italiana del novecento (1923-1999) – che di quel movimento fu parte attiva e di quell’Istituto fu responsabile negli anni successivi al Concilio. Ma ho anche ricordato gioco forza, parlando di lei, le altre donne a me prossime e che hanno inciso nella mia formazione e nel mio immaginario. Mi riferisco a Maria Pecoraro, già nominata, e a Giovanna Mangano. Entrambe legate all’AC nella quale ebbero un ruolo direttivo ed entrambe riconducibili all’Opera della Regalità.

Maria Pecoraro (1927-2016) scelse l’insegnamento e lo assolse con competenza, da ultimo come preside di uno storico liceo palermitano. Quando la conobbi il suo compito era quello di preparare i quadri, ossia quelle socie che a livello diocesano avrebbero dovuto farsi carico della “propaganda” – così la si chiamava. Non credo che avessi più di 18 anni quando venni aggregata al gruppo e con Maria visitai la diocesi anche nei comuni periferici. Soffrivo terribilmente il mal d’auto e pazientemente bisognava fare molte soste. Ma né Maria né io abbiamo pensato di chiudere lì la mia candidatura a quel compito. Va da sé che questo significava parlare in pubblico e dunque elaborare un discorso compiuto, muoversi, viaggiare. Cose tutte un po’ insolite in quegli anni.

Al Palazzo delle Opere, l’ex seminario arcivescovile ora sede della Facoltà Teologica di Sicilia, alla pratica si univa la teoria. Le dirigenti frequentavano un corso biennale di teologia. Ed era un corso di tutto rispetto. Ho detto, scherzando ma non molto, che frequentando poi la facoltà di teologia, l’unica cosa per me veramente nuova fu la Scrittura, l’accesso storico-critico alla Scrittura.

Maria Pecoraro che della GF era stata presidente dal 1950 al 1958, finì con l’impegnarsi soprattutto sul fronte civico. Le forze cattoliche da una parte, quelle della sinistra dall’altra, raccoglievano le loro sigle in due organismi antagonisti, il CIF e l’UDI. Purtroppo il disegno utopico di raccogliere le donne a prescindere dalla pregiudiziale ideologica e/o religiosa si era infranto già nella prima decade del ‘900. Inutile dire che la conflittualità era forte nell’immediato dopoguerra – si pensi alle elezioni dell’aprile ’48. A Palermo, tuttavia, il CIF ebbe soprattutto tratti paternalistici e assistenziali sotto la direzione della principessa Vanna Spadafora D’Amelio, benché, come ricorda la stessa Maria Pecoraro in un’intervista del 2005, gli obiettivi fossero: 1) formazione sociale delle donne; 2)  coordinazione di tutte le attività cristiane femminili; 3) rappresentanza di tutte le forze femminili cristiane di fronte alle Autorità e alle altre forze femminili. Divenuto il CIF una associazione e non più una federazione, Maria fu chiamata a dirigerlo a livello regionale dal 1976 al 1985. In tale veste fu l’unica presidente della Commissione per le pari opportunità istituita nel 1977 dall’allora presidente Piersanti Mattarella. Fu una fucina di confronto leale con le altre realtà operanti a livello politico e civile.

Così scriveva negli Atti del convegno “Donna oggi: realtà e prospettive”, svoltosi a Palermo nel 1978: «Abbiamo dialogato e dialoghiamo con tutte le donne nel confronto che non confonde, non appiattisce, non massifica; nel dialogo fondato sul rispetto, sulla lealtà, sulla chiarezza; nel dialogo che una società pluralistica deve consentire. Il saper cogliere i frammenti di speranza, le attese, da qualunque parte vengano, vuol dire essere aperti, attenti al cammino della storia, alle sofferenze, alle attese di tutti».

Cito dal volume Maria Pecoraro e il suo impegno nella città e nel CIF (p. ) che raccoglie i ricordi di alcune amiche e compagne d’avventura. Tra di esse Rita Bilello a cui Maria affidò nei primi anni ’50 la F.A.RI., l’associazione sportiva della GF, nata nel frattempo. E anche quella, a Palermo, non fu un’avventura dappoco.

Giovanna Mangano (1929-2017), anche lei docente, rimase invece nel circolo dell’AC. Ai miei tempi – anni ‘60 – era presidente della Gioventù femminile. Discreta, assolutamente discreta, tanto quanto era invece estroversa Maria Pecoraro, Giovanna non si negava mai a nessuno e ascoltava pazientemente gli interlocutori prendendone a cuore i problemi. La ricordo accanto a me quando, nel passaggio tra Carpino e Pappalardo, mons. Carcione decise che non era più il caso che fossi la responsabile diocesana del Movimento Studenti. Lo vissi come una tragedia. Giovanna non si oppose alla decisione dell’Assistente ecclesiastico, ma venne a trovarmi e raccolse tutte le mie lacrime. In verità da quel trauma sarebbe nata la mia scelta di partire per Roma a studiare teologia.

In uno scritto autobiografico inedito racconta il suo ingresso nell’associazione. Trovò quello di cui avvertiva il bisogno, un vivere la fede fuori da ogni devozionalismo intimistico, la messa insieme di fede e vita, d’impegno credente e d’impegno civile. Erano gli anni in cui ecclesiologicamente la Chiesa veniva indicata come corpo mistico. Ed ovviamente ciò significava destarsi a una diversa consapevolezza sia del rapporto con Cristo, sia del rapporto delle membra tutte nella loro mutua interconnessione. In questo scritto richiama la metafora dello scalpellino che, all’epoca della costruzione delle grandi cattedrali, interrogato su cosa faccia, non dice di stare modellando una pietra, ma, appunto, di stare costruendo una cattedrale. Essere e sentirsi Chiesa: ecco l’ubriacatura di quegli anni che il concilio avrebbe ratificato e potenziato.

Dopo l’approvazione dei nuovi statuti Giovanna fu nominata Presidente diocesana dell’AC. Successivamente concentrò il suo impegno nel MIEAC (Movimento impegno educativo d’Azione Cattolica). In esso convergevano soggetti impegnati in campo educativo: operatori del sociale, insegnanti, adulti incaricati della catechesi, genitori…

Giovanna non dismise mai il suo impegno in AC. Ne va anche ricordato l’impegno nel   Centro di Pastorale per la Cultura, ed in particolare il lavoro fatto con le parrocchie. Nei suoi ultimi anni le riunioni  del gruppo di “Regina Pacis” si tenevano a casa sua. In questa parrocchia, in cui operò lasciati gli impegni diocesani, oggi c’è una sala a lei titolata.

Certamente gli anni attorno al Concilio non furono stagnanti. E tuttavia del Concilio non si parlò molto a Palermo. Se ne sarebbe parlato a lavori finiti. Attuarne le linee portanti fu il compito assegnato da Paolo VI all’arcivescovo Pappalardo.

Tra le sue tante attenzioni quella alla promozione degli studi, alla promozione ecclesiale dei laici e delle laiche. Le due cose in gran parte coincisero perché una congiuntura visionaria intrecciò laici/che e teologia. Già nel 1972 nacque l’Istituto teologico san Giovanni Ev. per la Sicilia Occidentale. Ne fruivano i candidati agli ordini. Era però operante e frequentata soprattutto da donne la Scuola di Teologia per laici. Questa, sorta non molto tempo dopo la chiusura del Concilio, aveva quale responsabile mons. Marcatajo, allora vicario, se non ricordo male, della catechesi. La frequentavano non poche persone provenienti dalle Comunità di vita cristiana (CVX), le antiche Congregazioni Mariane. Erano articolate in gruppi distinti per età, o altro. Le animava  p. Giovanni Aiello, gesuita, che fu punto di riferimento in quegli anni nella Chiesa palermitana, anche nel contesto del nascente impegno ecumenico. Fu lui ad avviare alla teologia laici e laiche nel fervore della stagione post-conciliare.

Mons. Marcatajo, sorto l’Istituto, si aprì all’idea di un coinvolgimento della sua Scuola nella nuova istituzione e chiamò a insegnarvi Crispino Valenziano a cui palesò questo desiderio trovandone pieno consenso. I due s’intesero sulla istituzione di una Scuola di Scienze religiose e ne presentarono il progetto all’arcivescovo che lo approvò. Si trattava di uno dei primi Istituti di Scienze religiose che poi si sarebbero moltiplicati un po’ dovunque. Ciò che caratterizzò la neonata scuola fu il fatto che i corsi furono ben presto gli stessi che fruivano i candidati agli ordini. Ben presto si sarebbero mischiati nello stesso luogo e nella medesima acquisizione della teologia seminaristi, religiosi e religiose, laici e laiche.

Mi trovai a insegnare prima alla Scuola di Scienze Religiose, poi all’Istituto teologico, poi alla Facoltà teologica regionale. E credo che l’erezione di quest’ultima sia stata una svolta singolarissima per la Chiesa di Palermo. Una straordinaria risorsa, non una “palla al piede” come qualcuno, pure autorevole, l’ha detta. Era una palestra singolare di confronto di tutte le componenti del popolo di Dio. Un luogo in cui prepararsi insieme per svolgere ciascuno il proprio compito, ecclesiale e non.

Durante l’episcopato di Pappalardo la presenza dei laici e delle laiche fu una cosa assai seria e incisiva, tanto da suscitare qualche gelosia clericale.

In quegli anni presero vita le strutture sinodali: Consiglio pastorale diocesano, Consiglio presbiterale, Commissione liturgica, Segreteria Pastorale, Consulta dei laici, CISMI, USMI… Insomma, era la stagione del fiorire della partecipazione e della rappresentanza. Le donne c’erano e come! Erano presenti a tutti i livelli e autorevolmente. Ricordo le lunghissime riunioni della Segreteria pastorale. Le infinite conversazioni con mons. Cirrincione, ausiliare di Palermo, poi vescovo di Piazza Armerina… Quella che politicamente è stata chiamata la “primavera palermitana” fu tale anche sotto il profilo ecclesiale.

Furono quelli anche gli anni della nascita dei cosiddetti “movimenti”. La Consulta dei laici era l’organo preposto a coordinarli. Compito non facile. Comunque sia, fu questo il clima del I Convegno delle Chiese di Sicilia.

Nacquero, insomma in quegli anni quelle che io chiamai “strutture di mediazione ecclesiale”. Intradiocesane o interdiocesane che fossero, ne rivendicai lo statuto teologico. Non molto tempo dopo sarebbero state delegittimate a partire da quelle più significative: le Conferenze episcopali. Dinanzi ai fantasmi di un populismo a presunta ipoteca marxista, la tesi vincente fu che non avessero qualificazione teologica. In verità ciò che si metteva in discussione era il Vaticano II, la sua proposta circa lo statuto del popolo di Dio. Fu conseguenziale la spinta al disimpegno e all’irrilevanza, al ridimensionamento di quei diritti-doveri in LG solennemente enunciati.

Alcune delle realtà che costituivano la Consulta dei laici non appartenevano alla stagione dei movimenti, ma venivano da più lontano e chiamavano in causa protagonisti e protagoniste del laicato palermitano. Dalle CVX veniva Costanza Barberi (1932-1983) con il cui ricordo chiudo questo mio intervento, lasciando a Maria Lo Presti, anch’essa proveniente dalle CVX, il compito d’integrarlo per gli anni in cui da Palermo sono mancata, per mia scelta certo, ma anche perché, in qualche modo, il sogno a cui avevo dedicato la mia vita sembrava destinato a dissolversi.

Costanza veniva dunque da un gruppo che si riuniva in via Notarbartolo ed era costituito da signore della Palermo bene. Era tra quelle che frequentavano la Scuola di Teologia per laici di mons. Marcatajo proprio nel momento in cui la stessa passava sotto l’egida dell’Istituto Teologico. Indubbiamente mutava la qualità della proposta. Costanza vi aderì con entusiasmo. Lei e altre ancora, di diversa età,  diverse provenienti dalle CVX, furono le allieve del mio primissimo anno d’insegnamento. Proprio in quell’anno il cancro che l’aveva già colpita le si ripresentò in modo più grave. Scriverle un biglietto augurandole di guarire per me fu una cosa naturale. Partì da lì la nostra amicizia. Costanza fece sua la vicenda dell’erigenda facoltà teologica alla quale dedicò tutto il suo impegno anche di mezzi e relazioni. Fu lei a rappresentare gli studenti di II ciclo quando, il 21 novembre1982, papa Giovanni Paolo II visitò la facoltà. Sarebbe morta qualche mese dopo, il 18 gennaio 1983. Tutti quelli che hanno frequentato in quegli anni l’Istituto e la Facoltà ricordano il thermos  di caffè e i biscotti con i quali addolciva gli intervalli. In verità era solo la punta dell’iceberg. Non c’era bisogno che le sfuggisse, persona che non ascoltasse, difficoltà che non provasse ad appianare. Sposata, donna di mondo, intrecciava i suoi doveri sociali con una fame infinita d’intelligenza della fede. A guardarla sempre curata ed elegante nessuno avrebbe supposto che era reduce da una chemio o da una radioterapia. Nutriva la sua fede così da convivere con la malattia, senza mai far trapelare sofferenza o disagio. Lavorava alla tesi di licenza quando ha chiuso i suoi giorni. Uno dei suoi momenti più felici il conseguimento del baccellierato in teologa. L’ho ricordata anni fa parlando per lei di “straordinarietà nell’ordinario”. Il suo ricordo è affidato all’Istituto che ne porta il nome, oggi sponsorizzato dalla sorella Francesca, e che ha già celebrato molteplici Colloqui, l’ultimo dei quali su “Donne e riforma della Chiesa”.

Compagna e amica di Costanza fu Silvana Manfredi, poi docente alla Facoltà Teologica. Ma su di lei e sugli anni seguenti lascio la parola a Maria Lo Presti, anch’essa testimone della stagione che da ultimo ho provato a ricordare.

Cettina Militello*

*Teologa, già docente stabile della Facoltà teologica di Sicilia e poi del Pontificio Istituto Lateranense; dirige l’Istituto “Costanza Scelfo” e la Cattedra “Donne e Cristianesimo” della Pontificia Facoltà Teologica “Marianum”.

Silvana frequentava le Comunità di Vita Cristiana a Casaprofessa: da questa realtà vi è stata per lei la prima spinta allo studio della teologia presso l’allora Istituto Teologico “San Giovanni Evangelista”, elevato a Facoltà Teologica da Giovanni Paolo II dall’anno accademico 1981-82. Silvana Manfredi ha avuto tra i suoi docenti mons. Benedetto Rocco che insegnava ebraico e le materie relative all’Antico Testamento. Silvana si appassionò subito allo studio biblico, ed in particolare dell’Antico Testamento tanto che, completati gli studi a Palermo, coraggiosamente lasciò il suo lavoro – insegnava già latino e greco in un ginnasio – per andare ad iscriversi a Roma al Pontificio Istituto Biblico (PIB). Preparata da mons. Rocco, all’iscrizione al PIB, superò l’esame di ebraico che le consentì di iscriversi immediatamente ai corsi.

I suoi studi, cominciarono a prediligere sempre più i libri dei profeti, ed in particolare Geremia. Conseguì la licenza al PIB, e un primo dottorato a Palermo: Silvana Manfredi è stata la prima allieva che ha conseguito il Dottorato presso la Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista”, come ancora oggi ama ricordare il Preside, prima dell’Istituto e poi della Facoltà, mons. Crispino Valenziano. Iniziò, quindi, ad insegnare presso la Facoltà Teologica. Sospese però temporaneamente la docenza per proseguire gli studi all’Ècole Biblique et Archéologique Française de Jérusalemme: qui conseguì il dottorato con una tesi su Geremia, successivamente pubblicata.

Il percorso di studi di Silvana è di rilievo notevole, perché non è frequente il conseguimento di un dottorato in Scienze Bibliche, ed all’Ècole Biblique. Questa sede, di prestigio internazionale, è la scuola fondata da Marie Joseph Lagrange, padre degli studi biblici cattolici.

Nella Facoltà Teologica la prof.ssa Manfredi ha insegnato Antico Testamento, e soprattutto esegesi dei libri dei profeti. Diverse le sue pubblicazioni. Ha ricoperto diverse cariche accademiche: direttrice della Biblioteca, e vicepreside della Facoltà.

Il percorso accademico appena delineato vuole solo creare la cornice in cui si inscrive la ricca personalità di Silvana, la sua spiritualità e il suo impegno ecclesiale. Lo studio, l’insegnamento, e tutti gli interventi nell’ambito ecclesiale sono stati parte di un percorso, che ha portato Silvana a consacrarsi al servizio della Parola nelle mani del Card. Pappalardo nella piccola chiesa di Santa Cristina la Vetere, alla presenza di pochi, che ne portiamo il ricordo.

Volendo tracciare un profilo di Silvana, da una parte si deve evidenziare il suo rigore, nello studio, nella docenza, riguardo agli impegni presi, nel rispetto della comunità ecclesiale; dall’altra il suo umorismo, la battuta pronta, la giovialità che poteva non apparire in modo immediato, o che era a volte mascherata da un tono brusco. In ogni caso, sempre diretta, schietta e leale. È venuta a mancare il 18/11/18 (anniversario della promulgazione della DV) a soli 56 anni, a due mesi dalla diagnosi di un tumore. Ha vissuto anche quel tempo come preparazione all’incontro col suo Signore.

Con la prof.ssa Cettina Militello abbiamo concordato di fermarci qui, e di non considerare persone ancora attive, ma vi sono altre donne che nel contesto ecclesiale recente sono state e sono una presenza significativa per la nostra Chiesa.

Maria Lo Presti**

**Già docente di materie legate alla Sacra Scrittura presso l’ISSR di Piazza Armerina e presso l’Istituto Teologico San Gregorio di Agrigento