A Don Corrado Lorefice l’atto conclusivo del Festino 2018, con un discorso profetico, “urbi et orbi”, pronunciato alla città già traboccante della bellezza dei suoni e delle scene esibiti nella notte della vigilia, spettacolo che si ripete negli ultimi anni in un crescendo di qualità destinato ad affinare sensibilità ed emozioni di chi vi partecipa. Ma nel giorno del rito religioso, l’Arcivescovo si rivolge ai cuori e alle intelligenze delle Palermitane e dei Palermitani, secondo un registro corale, sentendosi con loro «sulla stessa barca».

Mentre l’urna reliquiaria di Santa Rosalia attraversa lentamente il cuore di Palermo in un rito antico di 394 anni, la voce del suo Vescovo tuona insolitamente nell’esplicito intento di imprimervi una forza che superi limiti e confini geo-politici.

È evidente la connotazione politica del discorso dell’Arcivescovo: è alla polis che si rivolge, prendendo schietta posizione riguardo a una questione umana e dunque propriamente politica. Un discorso alto, evocativo di figure testimoni di una politica non del consenso, ma delle “parole buone” su cui è fondata la nostra democrazia costituzionale. Un discorso efficace costruito sulla metafora della nave dalle tre forme: la nave è la città di Palermo, in balìa dei flutti, ma anche speranzosa verso la meta; la nave è l’Italia da cui si levano paure e dolori troppo a lungo inascoltati ed ora a rischio di essere strumentalizzati nel turbinio di voci divisive che esaltano la chiusura individualistica e oppositiva; la nave è l’Europa, concepita dai suoi fondatori per unire e pacificare, ora sempre più a rischio di «fratture insanabili» della sua anima democratica, per la «miopia dell’egoismo politico».

«Io non posso restare in silenzio» queste le parole del pastore della Chiesa di Palermo che ci toccano e ci interpellano più delle altre, perché se non si è sordi di intelligenza e di cuore, distratti dal proprio individualismo e cinici nel proprio egoismo, allora bisogna prendere posizione riguardo ai «segni dei tempi»; se poi si è credenti nel Vangelo, le parole di don Corrado penetrano come la spada di cui parla Gesù, quella che distingue inequivocabilmente ciò che è umano da ciò che non lo è, ciò che edifica da ciò che distrugge, ciò che è vero e buono da ciò che è distorto e confuso.

La metafora della triplice nave introduce l’altra, quella della «nave dei poveri», i disperati provenienti dall’Africa, resi tali dall’ingiustizia e dallo sfruttamento perpetrati dall’ingordigia dell’Occidente. L’accusa dell’Arcivescovo di Palermo lascia attoniti, interdetti, non perché non sapessimo, ma perché non lascia margini all’indifferenza pretestuosa che deresponsabilizza: «Siamo noi i predoni dell’Africa! Siamo noi i ladri che, affamando e distruggendo la vita di milioni di poveri, li costringiamo a partire per non morire … Noi sappiamo e siamo responsabili …. noi sappiamo e non taciamo». Il programma politico è tracciato: «Non si tratta di fare opere buone, ma di rispettare e, se necessario, ripensare il diritto dei popoli ».

Palermo Bambina, alla quale è intitolato il Festino 2018, ha sentito e compreso l’appello del suo Vescovo. La responsabilità ultima resta ai politici: che smettano di fare propaganda nazionalistica sulla pelle dei disperati e attivino con intelligenza strategie di cooperazione indispensabili di fronte alla complessità, possibilmente studiando di più la storia e traendo spunto dai testimoni della “politica vera” che hanno reso il nostro Stato una grande nazione affrontando problemi ben più gravi degli attuali, legati alla ricostruzione morale e materiale dell’ Italia e dell’Europa, unendo, accogliendo, abbattendo muri e confini.

Stefania Macaluso

 

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