*La Chiesa di Palermo per uno sguardo nuovo sulle donne

 

«E’ impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio».

Nell’agosto dell’anno scorso papa Francesco scriveva una Lettera al popolo di Dio. Scriveva per richiamare ancora una volta alla responsabilità di fronte al dolore irrimediabilmente causato da una parte di Chiesa nei confronti delle componenti più deboli, quelle che più sono vicine al cuore della Chiesa stessa.

Cito la Lettera non per entrare nel merito della vicenda che l’ha provocata, piuttosto perché quel breve testo ha una potenza di rinvio a una molteplicità di situazioni che riguardano “l’agire ecclesiale” per la cui conversione il papa chiama all’appello tutto il Popolo di Dio: «è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno. Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore».

C’è un male nella Chiesa che genera grave dolore; a questo male il papa ha dato una connotazione chiara e coraggiosa: clericalismo, intendendo l’anomalia con la quale è esercitata l’autorità della Chiesa. Scrive papa Francesco: «Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo».

Nella Lettera c’è un ferma intenzione di denuncia e un chiaro proposito di correzione, ma anche l’indicazione per la riparazione. Clero e laici sono ineludibilmente chiamati a vigilare e a sanare ogni abuso di potere e di coscienza.

Oltre al caso della pedofilia, c’è un altro abuso di cui poco si parla. È quello nei confronti delle donne. È tempo che la Chiesa consideri i gravi abusi perpetrati in nome dell’autorità, talmente radicati, sommersi e pervasivi da non riuscire a riconoscerli come tali, avendoli introiettati fino a legittimarli, giustificarli, persino mistificarli argomentando in modo capzioso sull’inferiorità delle donne, degradando il carisma del loro servizio a prestazione servile, interferendo nelle loro coscienze con la prevaricazione della direzione spirituale, squalificando le loro competenze con l’esclusione da ruoli riservati solo agli uomini. Tutto ciò è contro il Vangelo nel quale è radicata la dignità della donna come quella di ogni essere umano.

Il papa non ammette più omertà né silenzio e così l’USMI (Unione Superiori Maggiori d’Italia) ha denunciato le violenze e le umiliazioni che le religiose sono costrette a subire, come  riportato da un articolo pubblicato nell’inserto mensile di febbraio“Donna Chiesa, Mondo” dell’Osservatore Romano.

Papa Francesco indica due vie per la riparazione e il rinnovamento: la preghiera e la cultura, canali convergenti. Si tratta di assumere il compito vitale di risanare il corpo della Chiesa, il corpo stesso di Cristo. La preghiera sensibilizza occhi e cuore e genera l’impegno per la verità, quindi un cambio di paradigma culturale. Il papa fa appello alle coscienze, ben sapendo che da lì parte ogni vera conversione. Ora la coscienza non è affatto un’astrazione concettuale; è, per dirla con le parole di Edith Stein, il nucleo di un essere corporeo vivente, animato e spirituale, «un occhio che guarda l’interno e l’esterno». La coscienza è dunque essenzialmente il luogo della nostra relazionalità, si forma e si sviluppa nella complessità delle relazioni interpersonali. Per i credenti si tratta, come afferma papa Francesco nella Lettera, di «Imparare a guardare dove guarda il Signore», guardare cioè al volto, alla integrità di ogni persona. Apprendere la relazione donna-uomo equivale a imitare lo stile relazionale di Gesù: nessun discrimine, nessun pregiudizio, piuttosto apertura accogliente e amorevole nel confronto-incontro con l’altro genere.

La patologia relazionale rispetto all’antropologia evangelica ha ataviche radici storico-culturali, da qui la difficoltà a prenderne atto.

Non solo la Chiesa, ma l’intera società umana soffre della gravissima distorsione della relazione uomo-donna che ha legittimato il primato maschile e generato la sofferenza millenaria delle donne. Le donne da sempre reagiscono a tale ingiustizia guadagnando a fatica la loro emancipazione.

Nella Chiesa le cose devono andare diversamente: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Cor 12,26), ricorda il papa nella Lettera.

Le donne della Chiesa di Palermo vorrebbero promuovere un’alleanza tra credenti per il cambio di stile, di sguardo e di cuore auspicato da papa Francesco, un percorso di conversione a partire dalle relazioni che intercorrono tra clero  e  donne. L’associazione femminile Le Rose Bianche ha raccolto tale istanza che segnala il disagio, talvolta il dolore, che vivono le donne per l’ingiustizia determinata dal clericalismo anche nella nostra diocesi dove, come altrove, le donne non trovano adeguati spazi di riconoscimento o si vedono misconosciute o peggio sfruttate. Il Consiglio direttivo dell’associazione ha incontrato l’Arcivescovo don Corrado il quale non solo ha ascoltato e condiviso riguardo all’ingiustizia sessista, ma ha voluto anche accogliere l’invito ad avviare azioni concrete perché la nostra Chiesa guarisca contribuendo al risanamento dell’intera comunità cristiana. Il primo passo pubblico per dare seguito all’intento sarà un convegno sul tema “Quale ruolo per le donne nella Chiesa di Palermo? Lo stato delle cose tra storia e profezia”. Il convegno, che sarà aperto alla città tutta, si terrà il 29 maggio presso il Palazzo Arcivescovile, a evidenziare l’interesse dell’Arcivescovo Lorefice a favorire il processo di trasformazione sociale che tanto sta a cuore al papa.

Palermo ha tutti i presupposti perché dalla sua Chiesa venga un contributo visibilmente significativo in tale direzione: la città è in un frangente virtuoso, attrattiva com’è per scelte di campo umanitario, per le energie culturali che riesce a galvanizzare, per il risveglio tra i cittadini di un più consapevole senso di appartenenza identitaria capace di coniugarsi con accoglienza e solidarietà. La Chiesa di Palermo possiede a sua volta altrettanti elementi che la candidano a diventare modello di innovazione sociale; in particolare la questione della discriminazione di genere potrebbe costituire un campo di azione testimoniale. I presupposti perché dalla nostra diocesi partano iniziative concrete di risanamento dell’agire relazionale uomo-donna, sono individuabili almeno nelle seguenti evidenze: la presenza notevole delle teologhe della Facoltà San Giovanni Evangelista che hanno dato e continuano a dare contributi di elevata qualità nei vari ambiti di ricerca e di insegnamento arricchiti dalla specificità femminile; le straordinarie risorse provenienti dalle donne laiche impegnate nei più svariati settori ecclesiali; la linfa spirituale e caritatevole immessa dalle tante donne consacrate che vivificano il nostro territorio; la vocazione all’ecumenismo espressa dalla cooperazione in rete delle donne appartenenti alle diverse Chiese presenti nel nostro territorio.

A garantire e orientare l’energia di queste membra vive rappresentate dalle donne della Chiesa palermitana, il nostro Pastore, don Corrado, il quale, sulle orme di papa Francesco, ancora nel recente messaggio quaresimale invita donne e uomini «a domandarci se le strade che stiamo percorrendo portano al centro di noi stessi, alla relazione nutriente con gli altri».

Stefania Macaluso

Presidente associazione Le Rose Bianche

 

*Articolo pubblicato su “Poliedro” mensile della diocesi di Palermo, maggio 2019

 

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