A Palermo le donne prendono parola presso la Satua della Libertà, il monumento ai Caduti, dall’inizio della sciagurata guerra Russo-Ucraina, ogni giovedì pomeriggio, per dire NO ALLA GUERRA

Con tenacia e convinzione sosteniamo l’appello di Papa Francesco a considerare ogni possibile forma di mediazione diplomatica come unica via per affrontare questo conflitto, come ogni altro in corso in troppe parti del mondo.

Le donne non possono accettare, nel Terzo Millennio, l’anacronismo del ricorso alle armi. E’ sconcertante la “normalità” della guerra presentata da un’esposizione mediatica che riduce a cronaca ordinaria il bollettino quotidiano dei morti di questo terribile conflitto Russo-Ucraino.

Dal secondo dopoguerra ad oggi, l’Europa ha coltivato la cultura della pace. Il suo valore inestimabile ci è consegnato dalla nostra Costituzione, all’articolo 11, in una formulazione chiara ed inequivoca, eccellente sintesi della consapevolezza che la guerra appartiene ad un passato di assenza di democrazia. La sovranità del popolo trova nella guerra un termine radicalmente contraddittorio. La guerra appartiene alla storia fatta da signori che aspiravano a imporre il loro dominio servendosi dei sudditi come carne da sacrificare alle loro brame di potere. Nell’antico come nel recente passato e nelle attuali dittature, il ricorso alla guerra fa parte delle manifestazioni del più becero istinto maschile di sopraffazione.

Là dove vige la democrazia, i popoli coltivano la convivenza pacifica a garanzia dello sviluppo in ogni sua forma e manifestazione. La vita di ogni singolo essere umano vale a partire da sè, è parte integrante della comunità sociale che si fa carico di garantirla in ogni suo diritto ed esigenza.

Com’è possibile che ai vertici di governo dell’Europa si sia giunti a concordare un massiccio invio di armi come risposta ad una gravissima crisi che da decenni si consumava tra la Federazione Russa e l’Ucraina, senza che si mettesse in moto un’adeguata azione diplomatica per prevenire il conflitto armato? Abbiamo assistito inizialmente alla squallida personalizzazione dello scontro tra vari capi di Stato e da lì abbiamo capito quanto bassa e inadeguata fosse la prospettiva dalla quale si è cominciato ad organizzare la risposta alla crisi.

Come temevamo, la guerra ha incancrenito i risentimenti tradotti presto in odio tra le popolazioni coinvolte. L’opinione pubblica è stata orientata verso la polarizzazione delle parti, nonostante i ripetuti appelli di papa Francesco a non ridurre la complessità delle tensioni a una divisione tra buoni e cattivi.

L’annosa opera di costruzione dell’amicizia tra i popoli, intessuta in decenni di sforzi culturali, economici, diplomatici, va in rovina insieme ai corpi, alle case, a quanto utile alla vita. Bambini, donne, uomini che trascorrevano la quotidiana normalità dell’esistenza, vivono ora nella disperazione imposta dalla guerra in corso, ogni giorno più assurdamente distruttiva.

A Palermo, città crocevia del Mediterraneo, aperta all’accoglienza per vocazione atavica, segnata da una storia di magnifica bellezza intrecciata a laceranti contraddizioni, la cui popolazione, nel corso dei secoli, ha conosciuto domini e presenze straniere che nell’inconscio collettivo hanno innestato l’anomala compresenza di rassegnata consapevolezza e di indomita aspirazione al cambiamento, le donne prendono posizione contro la guerra. Che cosa può apportare contro questa immane tragedia, un presidio di donne? Niente e tutto. Niente se lo si misura con il quadro di realtà fattuale; tutto se lo si considera nella sua forza simbolica. Nella piazza che racconta pezzi di storia di un recente passato e onora i caduti in guerra, donne impegnate a livello sociale, ecclesiale, culturale, si ritrovano ogni giovedì per urlare il diritto dei popoli alla pace. Ciò può sembrare marginale, ma di fatto risulta un’affermazione di vita sulla morte. Con la presenza dei loro corpi, con la ragionevolezza dei loro appelli, con la difesa della vita testimoniata dalla loro femminilità generativa, rappresentano una voce vera, credibile e per questo di autentica forza, a fronte della vergogna della guerra.

Stefania Macaluso