Come donne, noi dell’associazione Le Rose Bianche, sentiamo il dovere civico, oltre che morale, di offrire alla città di Palermo, ma soprattutto a chi governa, qualche “spunto di riflessione” circa quanto accaduto qualche giorno fa.
Ore 16.00 circa del 15 luglio, anno 2020: piove a Palermo.
Si abbatte sulla città un acquazzone che in un paio d’ore mette in ginocchio Viale della Regione Siciliana, oltre che l’intera città.
In brevissimo tempo le strade di Palermo – capitale della cultura – diventano fiumi in piena e la raccolta differenziata si riversa sui marciapiedi e sull’asfalto costituendo un pericolo serio e concreto per gli automobilisti in transito, oltre che uno spettacolo pietoso.
Questo accade perché a Palermo – in molti quartieri – per la raccolta differenziata non si usano i cassonetti (sol perché non sono messi a disposizione dal Comune) ma semplici sacchetti che vengono posti davanti ai portoni, sui marciapiedi, nell’attesa che il servizio di raccolta li recuperi.
Così, l’acqua che non riesce a defluire a mezzo dei tombini – che purtroppo non vengono sottoposti a manutenzione né ordinaria né straordinaria – in breve collassano e le strade si allagano.
Ma vi è di più, l’acqua straripa sui marciapiedi e così una quantità sproporzionata di rifiuti invade le strade, bottiglie di plastica galleggiano e rifiuti di ogni tipo riempiono i marciapiedi della città della cultura e della bellezza.
Le strade diventano fiumi in piena.
Intanto su Viale della Regione Siciliana si allagano i sottopassi che in breve si trasformano in piscine olimpioniche ricolme di fango, detriti e rifiuti che attentano alla vita di quanti si trovano in transito.
Le automobili vengono letteralmente travolte dalla furia dell’acqua; molti automobilisti sono costretti a cercare in ogni modo di mettersi in salvo abbandonando con le proprie famiglie le automobili sommerse divenute una trappola mortale. Eroici uomini delle forze dell’ordine si prodigano in ausilio ai malcapitati.
Questo accade perché i monti di Palermo e la loro rigogliosa vegetazione – da anni – sono oggetto di incendi a seguito dei quali, nessuna politica di rimboschimento viene posta in atto dalle Autorità competenti.
Ciò ha comportato – quale fenomeno prevedibile – che le acque piovane scorrono su un terreno divenuto praticamente impermeabile a causa dell’assenza di quella vegetazione che un tempo tratteneva le acque piovane permettendo, altresì, alle stesse di permeare il terreno e rifornire conseguentemente le fonti naturali.
Così le acque piovane scendono in caduta libera verso il centro città proseguendo la corsa verso il mare trascinando detriti di ogni tipo ed i rifiuti delle borgate poste ai piedi dei monti.
È purtroppo doloroso apprendere che la stessa sorte interessa l’orografia di tutto il territorio siciliano e cioè – si badi bene – il 36% dell’intera superficie della nostra regione.
Questo lo scenario apocalittico in un giorno in cui a Palermo si festeggia la liberazione dalla peste, risalente al 1625, per intercessione di Santa Rosalia.
Nel Festino del 2020, Dio ascolta, ancora una volta, la Santuzza che intercede per i suoi Palermitani: tanti danni, nessun morto, solo grande sgomento.
Come credenti non possiamo fermarci a gridare al miracolo, piuttosto ci domandiamo come sia potuto accadere, quali siano le disfunzioni nel governo della nostra città, perché non sia possibile dare a Palermo lo status di città “normale”.
La risposta credo si possa sintetizzare in una sola parola: incuria ovvero assenza di cura e di attenzione per l’essere umano. Nella Palermo patrimonio dell’Unesco, manca il senso della custodia di ciò che è bene comune, patrimonio nostro.
In un’epoca in cui la gestione democratica della politica non può ammettere alcuna deroga alla trasparenza e all’efficienza, non si può più tollerare la deriva dell’amministrazione di questa città e dell’intero territorio siciliano.
L’ipotesi di reato per la quale la Procura di Palermo sta indagando (disastro colposo), darà ai cittadini palermitani contezza di chi siano i responsabili e di quali condotte di prudenza o norme cautelari siano state violate da chi per mandato politico o tecnico avrebbe dovuto adoperarsi perché eventi di tal guisa non accadessero.
Tuttavia, a prescindere dalla responsabilità penale del fatto, rimane certamente aperta una questione di coscienza.
Noi donne cristiane, impegnate a sostenere il programma ecologico della cura del creato, così come ci chiede papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, non possiamo tacere.
L’impegno per la difesa del creato nasce dalla cura della città in cui viviamo. Il contrario, l’incuria, è un peccato contro l’uomo che si traduce – in punto di diritto – con una conseguente e diretta violazione al diritto alla salute riconosciuto inviolabile sia dalla Carta Costituzionale che dalla CEDU.
Ci corre, dunque, l’obbligo morale di pretendere, da chi riveste ruoli pubblici, progettazione, realizzazione e rendicontazione, in sintesi: trasparenza ed efficienza, cioè cura.
Nel caso della “bomba d’acqua” che ha colpito Palermo si ritiene che – in ultima istanza – una gestione più funzionale e responsabile del servizio di viabilità avrebbe potuto fare di un evento meteo, che seppure si volesse definire eccezionale, un’evenienza da trattare nell’ordine di un “normale” piano straordinario che ogni saggia amministrazione deve saper prevedere e fronteggiare.
Restiamo “in allerta”, noi cittadine e cittadini, perché sia garantita Palermo come città dove si possa vivere e morire in modo “normale”, sì, perché a Palermo l’amministrazione comunale non riesce a gestire neanche i morti!
Speriamo che stiano “in allerta” anche coloro che sono preposti alla gestione della cosa pubblica non per status nominale, ma per mandato di servizio.
Avv. Sabrina Puglia
Lascia un commento