Di Tehseen Nisar

Quando educhi un ragazzo educhi un individuo, ma quando educhi una ragazza educhi l’intera generazione.

Le sfide riguardo alla disparità di genere interessano il mondo intero perché le donne costituiscono il fondamento di ogni società, nonché l’unità fondamentale della famiglia e la loro importanza, in qualsiasi contesto, è cruciale per lo sviluppo dell’umanità.

Scrivo queste righe sulla base della mia esperienza di giovane donna pachistana che ha viaggiato e studiato. Oltre a portare avanti la mia ricerca in Europa negli ultimi dieci anni e avere osservato da vicino le dinamiche sociali europee, sono arrivata a rendermi conto che alcune caratteristiche di tali dinamiche nei confronti delle donne, sono, per certi aspetti, le stesse nelle società liberali come in quelle non liberali.

Ci sono dinamiche comuni, ad esempio, nell’ambito lavorativo; si pensi alla condizione delle donne riguardo alla rappresentanza sul lavoro, ai benefici salariali, allo sfruttamento, all’accesso ai ruoli apicali. A mio avviso, questi aspetti comuni fanno sorgere la necessità di comprendere come favorire l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, eliminando discriminazioni morali, razziali, culturali e religiose.

Anche all’interno di molti paesi in Europa e Nord America, permane un divario nello sviluppo di genere, nella prosperità sociale ed economica. Secondo i dati raccolti da un’associazione sociale e sanitaria con sede nel Regno Unito, il King’s Fund Women and Men, si notano distinzioni significative riguardo alla distribuzione per genere nei diversi ambiti lavorativi; per esempio, il 90% degli ingegneri sono uomini, mentre l’83% degli insegnanti delle scuole primarie sono donne. L’Ufficio di statistica nazionale stima che a tale differenziazione corrisponda anche un divario retributivo di genere. Nel mondo occidentale spesso il lavoro svolto dalle donne è sottovalutato, sia in termini di valore che la società attribuisce ai posti di lavoro, sia in termini di salario. I lavori con una percentuale più alta di donne tendono a essere retribuiti meno e se, nel tempo, la percentuale di donne aumenta, la retribuzione media diminuisce ulteriormente. Il divario di partecipazione tra uomini e le donne rimane notevole, a più del 12%. Secondo il gender pay gap, al centro del Piano d’Azione per il biennio 2017-2019 istituito dalla Commissione Europea, che mira a combattere luoghi comuni, devono essere superate difficoltà di carriera e differenze retributive, come è possibile leggere nel sito dell’istituzione alla voce “Gender Equality”.

I dati italiani sulle differenze di genere in ambito lavorativo vanno analizzati secondo diverse componenti: se infatti su base oraria la differenza è minima (per ogni euro guadagnato da un uomo, le donne raggiungono 0,94 centesimi) è molto diverso se si guarda alla carriera. Sono gli uomini ad occupare posizioni maggiormente retribuite secondo i dati Eurostat.

Emerge, come altro fenomeno comune, che il fattore identitario è costruito sul modello maschile, che pertanto risulta dominante rispetto a quello femminile. Ricordo una citazione molto famosa della femminista francese Simone De Beauvoir che nel suo libro Il secondo sesso scrive “Non si nasce, ma si diventa donna”. L’idea del “divenire”, come spiega Beauvoir, non è così semplice. Ciò che si deduce da tale affermazione è che le società costruiscono l’identità delle donne sempre in relazione agli uomini.

Naturalmente, con l’evoluzione storica è cresciuto il livello di consapevolezza, e dunque di reazione delle donne, sia nelle società liberali che in quelle non liberali; da ciò le pressioni sociali perché siano garantite pari quote di leadership, di presenza sociopolitica, di opportunità di lavoro, contributi previdenziali, ecc.

In modo altrettanto trasversale, si assiste nel mondo a diverse forme di violenza nei confronti delle donne. Si tratta di una violenza strutturale che si manifesta in tutte le forme dei sistemi patriarcali. Per violenza si intende un atto di forza che ha lo scopo di arrecare un danno. Il danno inflitto dalla violenza può essere fisico, psicologico o entrambi. La violenza può essere distinta dall’aggressività, con la quale si esprime, più in generale, un comportamento relazionale ostile, nella forma di contrasto verbale, psicologico, economico, culturale.

La violenza contro le donne è una grave violazione dei diritti umani, non importa quando, dove o come avvenga. Qualsiasi forma di violenza contro le donne comporta conseguenze negative, per la salute delle donne e dei loro bambini, di natura fisica, mentale, sessuale e riproduttiva, si pensi alle infezioni sessualmente trasmissibili, come l’HIV o le gravidanze non pianificate, per non parlare della violenza che porta al femminicidio.

L’azione di prevenzione della violenza o il sostegno pianificato alle donne sopravvissute alla violenza, non solo ristabiliscono i diritti umani, ma aiutano anche ad alleviare la pressione sui servizi pubblici essenziali, compreso il sistema sanitario.

Secondo UNHCR la violenza di genere è definita come violenza diretta contro una persona sulla base del sesso, compresi gli atti che infliggono danni o sofferenze fisiche, mentali o sessuali, minacce di tali atti, coercizione e altre privazioni della libertà. Tale violenza può essere perpetrata all’interno della famiglia, della comunità in generale o dallo Stato e dalle sue istituzioni.

Le stime pubblicate dall’OMS indicano che nel mondo quasi un terzo (27%) delle donne di età compresa tra 15 e 49 anni che hanno avuto una relazione, dichiara di aver subito nel corso della propria vita violenze fisiche e/o sessuali da parte del partner o violenze sessuali da parte di altri soggetti. Il 32% delle donne selezionate casualmente dalle strutture sanitarie di Karachi, in Pakistan, ha subito violenze fisiche e, secondo un’indagine, su 1000 donne nel Punjab, in Pakistan, tra il 70% e il 90% delle donne sposate ha subito abusi da parte del coniuge in qualsiasi momento della vita.

Nella Repubblica islamica dell’Iran, si stima che la violenza domestica sia del 66% e arrivi al 70% nell’est del paese. Human Rights Watch ha affermato nel 2015 che “i diritti delle donne sono gravemente limitati in Iran”. Sotto il mandato di Ebrahim Raisi, le autorità iraniane hanno inasprito il controllo del codice di comportamento, a partire dall’abbigliamento delle donne, portando a un declino dei loro diritti.

Un altro punto molto cruciale che riguarda il motivo per cui la maggior parte delle società dell’Asia meridionale rimane sotto la morsa della violenza di genere è il ruolo del patriarcato. Come risultato diretto del colonialismo, il patriarcato rimane il sistema più consolidato di dominazione maschile, dove l’uomo ha il controllo assoluto sulla vita della donna, ritenendola una sua proprietà. Tale controllo è amplificato non solo dalla natura agraria della società, ma anche dalla versione distorta delle tradizioni. Una complessa combinazione degli effetti delle politiche coloniali, delle norme preesistenti, dei pregiudizi di genere e dei loro effetti sull’identità di genere ha un profondo impatto sulle norme esistenti in materia di uguaglianza di genere. In realtà, questo nesso di tradizionalismo e violenza di genere si è combinato con la discriminazione operata dai colonizzatori tra corpi maschili e femminili. Inoltre, spesso, usanze e pratiche primitive sono giustificate sulla base della religione per perpetuare lo stretto controllo feudale sulla terra. La concezione secondo la quale le donne vengono considerate proprietà degli uomini e il pregiudizio culturale della “ragione di onore”, sono così profondamente radicati nel tessuto sociale, politico ed economico che in modo ricorrente e impunito, le donne uccise per “delitti d’onore” vengono registrate come morte per suicidio o a causa di incidenti.

Per capire perché le società nei paesi islamici sono più inclini alla violenza rispetto alle società democratiche, bisogna condurre uno studio approfondito sullo sviluppo e l’evoluzione dei sistemi politici nelle società democratiche. Molti paesi del mondo sviluppato hanno iniziato a dare il diritto di voto alle donne a partire dal diciannovesimo secolo.

Secondo Juliet Mitchell, ricercatrice e autrice britannica, “L’Inghilterra del diciannovesimo secolo era identificata come una società in cui a nessun livello le donne avevano uguali diritti degli uomini. In effetti, non avevano praticamente alcun diritto. Erano i beni mobili dei loro padri e mariti, portati e venduti in matrimonio. Non potevano votare. Non potevano firmare contratti. Una volta sposate, non potevano possedere proprietà”.

È da notare che a partire dall’occupazione femminile nel sistema economico, le società sviluppano istituzioni e strutture di partecipazione migliori e contribuiscono alla stabilità democratica e alle economie sostenibili; ma nel corso della storia, il fattore dell’identità ha in qualche modo vincolato il genere femminile per via degli stereotipi socioculturali. Infatti, dall’infanzia alla pubertà, dall’adolescenza alla mezza età, alle donne viene detto di seguire un elenco molto rigoroso di cose da fare e da non fare e resta il fatto che in tutte le società alla donna viene assegnato di assumere un carico di determinate responsabilità di cura. 

Si pensi che la donna primitiva era una cacciatrice e cacciava con gli uomini, ma con il passare del tempo c’è stato un cambiamento nel suo lavoro. È diventata subordinata e dipendente dai suoi uomini, mentre lui le preparava il foraggio e assicurava protezione. Questa dipendenza si è moltiplicata con le fasi dello sviluppo capitalistico.

Friedrich Engels, nel suo libro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, afferma chiaramente che «il concetto di proprietà privata si estendeva effettivamente alle donne».

Oggi, poiché le società civili stanno diventando sempre più globalizzate, è necessario affrontare urgentemente alcune preoccupanti questioni. Il primo obiettivo è fare pressione sui governi a livello globale perché intervengano sull’istruzione delle bambine. Nelle società in via di sviluppo, è necessario un urgente ripristino delle politiche nell’istruzione primaria e secondaria per garantire che le ragazze non rimangano fuori dalla scuola; occorre studiare un sistema organizzativo a livello istituzionale e democratico che garantisca l’iscrizione delle ragazze in scuole, college e università, senza alcuna discriminazione.

Le società devono garantire che qualsiasi negligenza nei confronti del trattamento delle ragazze negli spazi pubblici e persino negli spazi personali equivalga a un reato grave. Poiché l’incidenza di stupri, molestie, attacchi con l’acido, delitti d’onore, aggressioni e tutti i tipi di violenza sessuale continuano a fare notizia in tutte le parti del mondo, è urgente insegnare ai giovani che la vera virilità è nell’atto del rispetto e nel riconoscere alle donne ciò che meritano.

Nelle società dove prevale il fondamentalismo islamico, gli aspetti religiosi ed etici dovrebbero essere razionalmente presi in considerazione per superare le barriere che ostacolano l’emancipazione delle donne. D’altro canto, nelle società democratiche occidentali, deve esserci un cambiamento culturale in grado di abbattere le secolari barricate della superiorità occidentale e del trionfalismo razziale col quale si giudica la relazione uomo-donna nel mondo islamico.

Problemi e sfide quasi simili sono affrontati dalle donne in varie parti del mondo. In Israele le donne non possono divorziare senza il consenso del marito, che, in caso di scomparsa, le rende delle agunot, “incatenate”, ovvero impossibilitate per legge a risposarsi o avere figli legittimi; in Russia, alle donne sono vietati 255 tipologie di carriera; in India, (secondo il World Inequality Report 2022) dove la proporzione di genere è quasi equivalente, gli uomini guadagnano l’82% della paga da lavoro prevista, mentre le donne ne ottengono solo il 18%. A peggiorare le cose, la pandemia di COVID-19 ha ampliato ovunque il già grave divario salariale di genere. Secondo il Global Gender Gap Report del 2021 del World Economic Forum, la pandemia ha avuto un impatto importante sulla disuguaglianza di genere, poiché “il divario di genere globale è aumentato di una generazione, da 99,5 anni a 135,6 anni”.

In un paese come il Pakistan, dal quale provengo, dove le tradizioni regnano sovrane, il puro cambiamento e la trasformazione della forza lavoro delle donne in molteplici ambiti  professionali mostrano quanto velocemente il grafico delle donne che entrano nel mercato del lavoro abbia cambiato l’intero quadro delle città metropolitane negli ultimi dieci anni; oggi nelle imprese aperte alle giovani donne nei settori professionali delle banche, della finanza e dei mass media, le immagini e i grafici dell’occupazione e della partecipazione delle donne sono migliorati, anche se attraverso sfide.

La storia e la politica del Pakistan sono intrecciate con le dinamiche socioculturali, religiose ed etnico-religiose che includono una predominanza agraria e feudale, tribale combinata con stili di vita, tendenze e costumi urbani, semiurbani e posturbani. Le questioni di genere hanno occupato una scena centrale con caratteristiche ricorrenti di discriminazione nel lavoro salariato, opportunità di pari impiego, nonché una struttura gerarchica patriarcale dilagante in quasi tutti gli aspetti della vita e in tutti i settori interessati.

L’aborto forzato e l’infanticidio femminile, la dote e il rogo della sposa, la violenza domestica, la disparità nell’istruzione, i matrimoni precoci, l’alimentazione inadeguata, le molestie sessuali e la violenza domestica sono solo alcuni, se non molti, denominatori comuni. Il divario tra i sessi è registrato come il più alto a livello globale e quasi il doppio rispetto alla media mondiale.

Una miriade di discriminazioni socio-religiose e di classe è rafforzata da antiche pratiche primitive prevalenti in India, Pakistan, Nepal e Afghanistan. Le donne in India sono costrette a rimanere single dopo essere rimaste vedove; usanze come i matrimoni di bambine e ragazze e l’incidenza per rischio di essere dichiarate Kari (colpevoli di reato) sono dilaganti in molte aree e zone tribali del Pakistan.

Le ragazze rappresentano ancora una quota sproporzionata di coloro che non hanno accesso all’istruzione in molte regioni in via di sviluppo. Secondo l’UNESCO, più di 4,5 milioni di ragazze non vanno a scuola in Pakistan. Uno degli aspetti più deplorevoli è che in alcune zone del Pakistan, in particolare nelle aree tribali settentrionali, l’istruzione delle ragazze è severamente vietata per motivi religiosi. Per quanto riguarda il sistema educativo dell’Afghanistan, profondamente compromesso da guerre e conflitti che durano da più di trent’anni, rimane fragile le possibilità per le donne di acquisire un’istruzione. Tutte queste realtà sono un cupo segnale del generale squilibrio di genere nel paese.

Nell’Asia meridionale, quindi, i problemi che riguardano le donne si aggravano in proporzioni pericolose e, come accennavo sopra, casi di aborto forzato, infanticidio femminile, mutilazioni genitali, imposizione di dote, rogo della sposa, violenza domestica, disparità nell’istruzione, matrimoni precoci e delitti d’onore sono comuni e dilaganti.

Il livello di istruzione delle donne è un grande fattore determinante per lo sviluppo e il progresso delle società umane. Le donne costituiscono la spina dorsale delle strutture sociali e culturali e svolgono un ruolo efficace nella costruzione di modelli per le nuove generazioni. Qualsiasi violazione dei diritti fondamentali delle donne, compresi i diritti all’istruzione, alla libertà di autodeterminazione, i diritti ad essere elette nelle cariche politiche, di libertà di parola e di partecipazione sociale e politica, solleva enormi questioni per l’instaurazione di un giusto ordine sociale. Le nuove generazioni di giovani donne cercano a gran voce di sostituire con l’innovazione nel campo della politica, degli affari, della tecnologia dell’informazione, della scienza, dell’istruzione, della medicina, dell’ingegneria, dell’arte e della cultura lo status quo, ovunque, al di là dei confini e delle frontiere.

Oggi, nel ventunesimo secolo, le giovani donne in tutti i campi della vita stanno scrivendo nuovi titoli negli articoli dei giornali. Le donne si sono opposte a gran voce contro l’ingiustizia, la violenza, lo sfruttamento e la discriminazione. Nei paesi in via di sviluppo, le donne affrontano innumerevoli sfide poiché i loro ruoli nella vita privata e nella sfera pubblica richiedono coraggio e determinazione straordinari.

Le società civili dell’Asia meridionale sono sempre più rappresentate dalle voci di donne pronte a subentrare agli uomini in base al merito e alla competitività in quasi tutti gli ambiti. Le società civili dell’Asia meridionale sono sempre più rappresentate dalle voci di donne che sono pronte ad assumere il ruolo degli uomini in base al merito e alla competitività in quasi tutti i ceti sociali. Sebbene sia ancora difficile per molte società venire a patti con il ritmo del cambiamento, il cambiamento è già nell’aria.

Camminando in un frenetico lunedì mattina nella strada più congestionata di Karachi, Chundrigar Road (chiamata anche Wall Street di Karachi), sono rimasta impressionata dalle dimensioni e dal movimento delle giovani donne che scendevano per entrare negli uffici.

* Intervento della ricercatrice pachistana Tehseen Nisar in occasione dell’incontro, tenutosi a Palermo presso la Rettoria Santa Maria di Porto Salvo il 12 ottobre 2022, organizzato dall’Aggregazione Donne e Chiesa e dall’Associazione Le Rose Bianche sul tema “Diamo voce e sostegno alle donne iraniane”.

**Tehseen Nisar è una ricercatrice Pakistana. Ha conseguito il Dottorato in Filosofia (Teoria Politica) presso il Center for Ethics and Global Politics, Dipartimento di Storia e Scienze Politiche, Facoltà di Scienze Politiche, Università LUISS di Roma con una tesi su “I discorsi sullo Stato e sulla società civile nel contesto coloniale e postcoloniale: Riconcettualizzare la società civile in Pakistan”.
 
Nisar è laureata in Relazione Internazionale presso l’Università di Karachi, Pakistan (1999) con una seconda posizione di prima classe in tutta Karachi, e un Bachelors of Arts Bachelors (Honors) in Relazioni Internazionali presso l'Università di Karachi (1998) con prima posizione di prima classe.

Dal 2000 al 2008 è stata ricercatrice senior Fellow/Lecturer, (Gazetted Officer Grade 17), presso l’European Studies Centre, Area Study Center per l'Europa, Università di Karachi, Pakistan. Ha pubblicato e tenuto conferenze su vari argomenti socio-economici, tra cui la risoluzione dei conflitti, la gestione delle crisi e la pace in Asia meridionale, Europa e Medio Oriente. La sua monografia "La società post-coloniale in Pakistan: Ricontestualizzare la politica dei governati” è stata pubblicata nel 2015.