L’Altra politica:

una lettura di senso della Carta di Palermo

Quando venerdì scorso ho ricevuto la convocazione per i lavori d’aula alla Camera con all’odg la legge elettorale, ho subito capito, con mio grande rammarico, che non avrei potuto partecipare ai lavori di quest’incontro sulla Carta di Palermo.

Devo confessare che questa rinuncia mi pesa un po’ per alcuni motivi che proverò ad illustrare, non ultimo il fatto di non essere stata in qualche modo vicina alla dignità della persona e, in particolare, della donna. Sono però convinta che potremo rimediare in futuro anche perché conversando con alcune rappresentanti mi sono sentita in piena sintonia con loro.

Il tema che oggi affrontiamo è particolarmente intrigante nella sua doppia dimensione già esplicitata nel titolo stessa della nostra conversazione: “L’altra politica: una lettura di senso della Carta di Palermo”.

Discutiamo infatti sulla Carta di Palermo, ma , forse a partire dalla Carta di Palermo, veniamo proiettati a interrogarci sul senso ultimo della politica e sulla sua possibilità di essere “altra” rispetto alla impostazione corrente dell’azione politica sia in ordine allo sfondo valoriale sia in ordine alla prassi ordinaria.

La Carta di Palermo è di per se’ una provocazione.

In un tempo in cui ci si sente minacciati dalla “invasione” dei migranti che sbarcano sulle nostre coste, in un momento in cui i mezzi di comunicazione di massa enfatizzano i numeri e alimentano le paure, la Carta ci parla della mobilità come diritto e del migrante come persona.

Perciò, ci propone l’abolizione del permesso di soggiorno e allarga l’orizzonte verso una nuova cittadinanza non più declinata secondo la formula riduttiva dello ius sanguinis, ma fondata e costruita sulla dignità della persona, i suoi diritti fondamentali, la sua residenza anagrafica, il suo grado di inculturazione.

La Carta di Palermo è un’utopia, ma è un’utopia ben radicata nella storia.

In essa si ha lucidamente contezza che mai si sono potuti arrestare i fenomeni migratori.

In essa sono individuate le cause del fenomeno migratorio “nella globalizzazione, nelle crisi economiche e politiche di lungo periodo “.

In essa non sono ignorate le difficoltà legate al fenomeno migratorio ma si esprime invece tutta la necessità di governarlo, assumendo uno sguardo lungimirante che sa vedere oltre i muri e gli steccati perché fondato su una verità incontrovertibile: la centralità della persona.

E’ da questa utopia che occorre partire per entrare nella storia, è assumendo quest’utopia che si può governare lo stesso fenomeno migratorio.

D’altronde, non è possibile politica senza utopia, ed è proprio la inesauribile tensione ad essa lo sfondo integratore entro il quale deve inquadrarsi ogni azione.

La Carta di Palermo mantiene questo sguardo alto e lungimirante nella consapevolezza che quanto propone va incastonato in un percorso difficile, che si scontra con resistenze e paure, con diffidenze e pregiudizi, con le difficoltà effettive dell’accoglienza, i suoi costi e i possibili pericoli di infiltrazioni criminali, per fortuna estremamente rare, nel mutato contesto internazionale,minacciato dal terrorismo.

Anche nell’avanzare la coraggiosa proposta dell’ abolizione del permesso di soggiorno, le cui conseguenze economiche e psicologiche segnano drammaticamente la vita di un migrante, la Carta sottolinea come “tutto ciò comporti l’adeguatezza di modalità e di tempi”.

E’ all’interno di queste categorie, “adeguatezza di modalità e di tempi”, che mi appare essersi mosso il Governo italiano, nonostante il mancato sostegno alle sue scelte da parte della politica europea.

L’Italia ha a lungo sostenuto da sola l’operazione “Mare Nostrum”, ha partecipato a Frontex, ha promosso corridoi umanitari (ancora troppo pochi), ha rafforzato il sistema SPRAR ( Servizio di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati), aumentando stanziamenti e commissioni decisionali, ha istituito i centri di primissima e di prima accoglienza, ha aperto i C.A.R.A- (Centri di accoglienza per richiedenti asilo).

Sul piano della politica internazionale ha svolto e sta continuando a svolgere un’azione di pressione sulla Commissione Europea perché venga modificato il Regolamento di Dublino che affida al solo Paese di primo approdo l’obbligo della protezione internazionale e l’incombenza delle procedure di riconoscimento del diritto di asilo, con evidenti costi e difficoltà di gestione dei flussi. Ha ottenuto e sta ancora chiedendo con forza che vengano rispettate le quote di ricollocamento dei profughi nei vari Paesi dell’Unione, trovandosi spesso di fronte la miope e scellerata politica dei muri.

Ma credo che l’attenzione italiana al fenomeno si palesi con tutta evidenza in due provvedimenti legislativi alla cui stesura e costruzione ho avuto l’onore nonché il piacere di partecipare, essendo componente della I
Commissione Affari Costituzionali della Camera che, tra le sue competenze, annovera le materie relative all’immigrazione, alla cittadinanza, alla sicurezza.

Si tratta di due disegni legislativi di iniziativa parlamentare: il primo, oramai divenuto legge e pubblicato in Gazzetta nel maggio scorso, che è quello riguardante la Tutela dei minori stranieri non accompagnati, e il secondo, approvato alla Camera ma ancora in discussione al Senato, quello sullo ius soli temperato, oggetto di tante polemiche e prese di posizione.

Si tratta di due provvedimenti coraggiosi che indicano bene quale sia la direzione di marcia dell’Italia in questo momento, nonostante le opposizioni e i pregiudizi non siano mancati.

La legge sui minori stranieri non accompagnati ha avuto un iter molto articolato per la complessità della materia. E’ l’unica in Europa che ha affrontato il problema in maniera organica. La dobbiamo alla caparbietà di tre donne del Partito Democratico: Sandra Zampa, la presentatrice e prima firmataria del progetto di legge, Barbara Pollastrini, relatrice alla Camera e la sottoscritta. Obiettivo della legge è dare ai minori soli che sbarcano sulla nostra Penisola, o, forse, sarebbe meglio sottolineare sulla nostra Isola, gli stessi diritti dei minori italiani.

La legge interferiva con le competenze di più Ministeri, Lavoro e Politiche sociali, Interno, Presidenza del Consiglio, Giustizia e, naturalmente, con il Tesoro. Non è stato facile scrivere e mettere a punto un articolato che modificava norme del Testo unico sull’immigrazione, norme di sicurezza, delle politiche sociali, dei tribunali dei minori. Non è stato semplice trovare le coperture per i mediatori culturali, ad esempio, o per il personale qualificato che viene impiegato, per le pratiche da mettere in atto, compresi i particolari accertamenti sanitari che possono essere utili per stabilire l’età del minore, non sempre chiara.

Con il contributo di tutti, Governo e Parlamento, alla ricerca di soluzioni condivise che potessero garantire al meglio i diritti di questi bambini e adolescenti, oggi abbiamo una legge che ci consente di operare nel rispetto della dignità della persona e nel segno del riconoscimento dei suoi diritti fondamentali: diritto alla vita, all’accoglienza e alla famiglia (viene per prima cosa ricercato il possibile ricongiungimento a qualche familiare residente anche fuori del nostro Paese), alla salute, all’istruzione.

Voglio partire da quest’ultimo diritto per allacciarmi al tema controverso della cittadinanza per lo straniero e al disegno di legge, tuttora in discussione al Senato, su ius soli e ius culturae.

Anche su questa proposta la I Commissione della Camera ha molto lavorato e discusso. Personalmente l’ho moto sostenuta e la considero una proposta equilibrata che promuove politiche di inclusione e, dunque, di sicurezza.

All’interno di tale disegno di legge, la concessione della cittadinanza non ha nulla di automatico, come qualcuno vuole fare tendenziosamente credere. Consente allo straniero residente in Italia e in possesso di permesso di lungo soggiorno di chiedere, se lo desidera, la cittadinanza italiana per il proprio figlio nato in Italia (ius soli). Prevede anche che il minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, possa ottenere la cittadinanza italiana su richiesta del genitore o di chi esercita la responsabilità genitoriale se ha frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale, uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o se ha frequentato percorsi di formazione professionale triennali o quadriennali, idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria, è altresì necessaria la conclusione positiva di tale
corso.

E’ quello che noi definiamo ius culturae.

Nulla di più.

Purtroppo, il tema delle migrazioni viene troppo spesso associato al tema della sicurezza e ciò comporta una distorsione nella capacità di coglierne la natura.

Inoltre, la solitudine in cui spesso è stata lasciata l’Italia rispetto alla gestione dell’accoglienza e dei flussi, non sempre consente uno sguardo sereno sul fenomeno e ha spinto il Governo italiano a cercare di depotenziare gli arrivi, attraverso azioni diplomatiche con i Paesi da cui partono gli sbarchi.

Ciò comporta, a mio avviso, il rischio per i migranti di trovarsi in situazione scarsamente rispettose dei loro diritti se non addirittura in contesti di violenza e sopraffazione, se non si attiverà una stretta sorveglianza dei campi di raccolta dei profughi.

Con l’assunzione consapevole che il fenomeno migratorio debba essere considerato come fenomeno strutturale, si delinea anche la necessità di una risposta variamente articolata che consenta al nostro Paese, in rete con gli altri Paesi dell’Unione europea, di predisporre politiche di governo delle migrazioni nell’ottica individuata nella Carta di Palermo.

Sono infatti convinta che non si dà governo senza politica e non ci può essere politica senza la tensione all’utopia, come ha attestato infatti lo sguardo lungimirante dei grandi statisti.

Teresa Piccione